viva la pheega

giovedì 4 febbraio 2021

0 50,000 tons of water and the size of a 15-storey building: this is the Super-Kamiokande, the super neutrino observatory.

"Matter is no obstacle for the neutrino. A neutrino could pass through 100 light years of steel without even braking". Neil deGrasse Tyson, astrophysicist.

The reactors in the nuclear power plants are not so buried, why does this observatory? This has already been explained by the famous astrophysicist Neil deGrasse Tyson, when he talked about the Super-K and neutrinos, commenting that the observatory is so deep that there is enough distance so that the earth does not allow the passage of other subatomic particles with a mass so small that they are able to pass through solid matter and that makes them very difficult to detect, although the final application of their study may include a better understanding of the stars and, after all, the universe.

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0 Giuseppe Conte una persona per bene


 

Una persona perbene.
In una giungla di intrighi, tradimenti, urla, pagliacci, felpe, prosciutti, volgarità e bassezze Giuseppe Conte è sempre rimasto quello che è stato.
Una galantuomo.
Una persona semplicemente perbene, chiamata a tenere le redini di un Paese disastrato, nel momento più disastroso.
Lo hanno tradito, pugnalato, infangato, insultato.
Lo hanno accusato di tutto e il giorno dopo del contrario.
Ma non si è mai lasciato trascinare.
Gli hanno consegnato una 500 scassata appesantita da colossali debiti e ingolfata da corruzione, inefficienza, burocrazia, lacci e ruberie, e gli hanno rimproverato di non farla correre come una Ferrari.
Se chiudeva gli dicevano di aprire, se apriva gli dicevano di chiudere; se decideva lo accusavano di essere un dittatore, se delegava lo accusavano di scaricare responsabilità.
Ha tirato fuori l’Italia dalla prima ondata con decisioni che pochi altri avrebbero saputo prendere in Occidente.
E in Europa ha ottenuto più di chiunque altro. Come nessun altro.
Oggi tutti parlano di Recovery Fund, di occasione storica, di soldi mai visti prima, dimenticando che è stato lui a ottenere tutto questo. Lui ha portato quei soldi e ora gli altri si avventano famelici per averli.
Ha commesso errori e ne ha commessi tanti.
Come sono stati commessi in ogni nazione alle prese con una crisi mai vista.
Ma nessuno ha mai tirato fuori la formula magica per tenere in vita contemporaneamente economia ed esseri umani in un paese in cui non ha mai funzionato un cazzo. Però tutti a dare lezioni.
Ma due errori imperdonabili Giuseppe Conte ha commesso su tutti. Essere troppo popolare.
Ed essere stato una persona perbene.
Di essere stato ingenuo. Di essersi fidato.
Ha commesso l’errore di non essere un cinico figlio di puttana della politica. Uno di quelli che tradiscono, accoltellano per poi essere acclamati col titolo di “abile politico”.
Ha commesso l'errore di non essere stato lupo tra i lupi.
Ma almeno lui la mattina potrà alzarsi e guardarsi allo specchio. E sentire la leggerezza di una coscienza pulita, di chi ha fatto in buona fede tutto ciò che poteva, col poco che aveva.
E questa sensazione, rara in politica, non la donerà mai nessuna poltrona.
Conquistata col tradimento, il sotterfugio e l’inganno.
Per questo grazie di tutto, presidente.
 
Emilio Mola
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sabato 6 giugno 2020

0 Povera Patria - Franco Battiato

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venerdì 22 maggio 2020

0 LETTERA DI UNA RAGAZZA QUALSIASI DI BERGAMO...

Egregio (si fa per dire) Avvocato Fontana,
sono una ragazza di Bergamo, città epicentro del Covid-19, se lo ricorda ancora il conoravirus, si?
Ecco, le scrivo perchè proprio oggi ho letto che lei avrebbe affermato che dorme sonni tranquilli perchè non si sente assolutamente responsabile di quello che è successo.
Sa che se il mio papà non fosse morto a causa delle sue, e quelle dei suoi compagni di merenda, scellerate scelte, oggi, appena l'avessi chiamato, si sarebbe fatto due belle risate con me?
E guardi, noi due andavamo d'accordo su tutto, tranne che sulla politica, perchè lui, a certe cose che voi dite, ci credeva pure, io no, sia ben chiaro, ma penso che a questa sparata non avrebbe proprio resistito.
Ho letto molti commenti riferiti alla sua destabilizzante frase di persone che si sono indignati, ma sa che invece io non sono indignata? Perchè, pensandoci, a me non è mai passato per l'anticamera del cervello che lei potesse avere una coscienza, cioè uno che parla di razze inferiori e superiori come potrebbe averla? Ed è solo un esempio, sia chiaro.
Lei come il suo amico Gallera, Assessore alla Sanità (che fa già ridere di suo) e il welfare, che tre settimane fa si faceva un selfie dopo una bella corsetta all'aria aperta, la simpatia proprio, mentre c'erano migliaia di persone morte, intubate e malate a casa.
Lo sa cosa avrebbe fatto il mio papà, che ha sempre lavorato come piastrellista, spaccandosi la schiena e le ginocchia, mantenendo la sua famiglia degnamente e pagando fior fiore di tasse alla Regione che lei ora sta vergognosamente amministrando? Si sarebbe dimesso, avrebbe ammesso il fallimento totale, su tutto la linea e no, lui non avrebbe dormito sonni tranquilli, perchè avete mandato a morire una generazione di uomini e donne che hanno sempre lavorato, come piace a voi, abbassando la testa, come piace a voi, pagando le tasse, come piace a voi, andando a votare, come piace a voi, ma, attenzione, i figli di questa generazione siamo noi, e sappiamo cosa avete fatto e come lo avete fatto e non siamo più disposti ad abbassare la testa, risponderete di questo scempio, non resterete impuniti perchè non sarebbe giusto, non sarebbe giusto per tutte le morti e tutta la sofferenza che avete causato.
Cordiali (ma proprio per niente) saluti.
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sabato 16 maggio 2020

0 È morto Ezio Bosso, il pianista che sapeva commuovere. 15/05/2020

“Io li conosco i domani che non arrivano mai”: la commovente poesia di Ezio Bosso. 
Io li conosco
 I domani che non arrivano mai
 Conosco la stanza stretta
 E la luce che manca da cercare dentro
 Io li conosco i giorni che passano uguali 
Fatti di sonno e dolore e sonno per dimenticare il dolore 
Conosco la paura di quei domani lontani 
Che sembra il binocolo non basti 
 Ma questi giorni sono quelli per ricordare
 Le cose belle fatte Le fortune vissute I sorrisi scambiati che valgono baci e abbracci 
Questi sono i giorni per ricordare 
Per correggere e giocare 
Si, giocare a immaginare domani 
Perché il domani quello col sole vero arriva 
E dovremo immaginarlo migliore
 Per costruirlo
 Perché domani non dovremo ricostruire
 Ma costruire e costruendo sognare 
Perché rinascere vuole dire costruire 
Insieme uno per uno 
Adesso però state a casa pensando a domani 
E costruire è bellissimo 
Il gioco più bello
 Cominciamo…
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martedì 12 maggio 2020

1 LETTERA A SILVIA ROMANO.


Da Maryan Ismail

LETTERA A SILVIA ROMANO.

Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post.

Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice positiva. L'aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa.

Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi spietato e soprattutto la parte del cosidetto volto "perbene" . Gente capace di trattare, investire, fare lobbing, presentarsi e vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel mondo.
Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e con mandanti ancor più pericolosi. 


Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare NON ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado in una situazione terribile, è tornata a casa. 

Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro. 

Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura , l'impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare? 

Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche , yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda.

Comprendo tutto di Silvia.
Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere.
E in un nano secondo. 


Attraversare la savana dal Kenya e fin quasi alle porte di Mogadiscio in quelle condizioni non è un safari da Club Mediterranee... Nossignore è un incubo infernale, che lascia disturbi post traumatici non indifferenti. 

Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito ( che per cortesia non ha nulla di SOMALO, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza), né la felicità per la sua conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di varia natura. 

La sua non è una scelta di LIBERTA', non può esserlo stata in quella situazione.
Scegliere una fede è un percorso così intimo e bello, con una sua sacralità intangibile.


E poi quale Islam ha conosciuto Silvia ? 

Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello dell'attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha provocato a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un'intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell'orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti? 

No non è Islam questa cosa.
E' NAZI FASCISMO, adorazione del MALE.
E' puro abominio.
E' bestemmia verso Allah e tutte le vittime. 


I simboli, sopratutto quelle sul corpo delle donne hanno un grande valore. E quella tenda verde NON ci rappresenta. 

Quando e se sarà possibile , se la giovane Silvia vorrà , mi piacerebbe raccontarle la cultura della mia Somalia. La nostra preziosa cultura matriarcale, fatta di colori, profumi, suoni, canti, cibo, fogge, monili e abiti.
Le nostre vesti e gioielli si chiamano guntino, dirac, shash, garbasar, gareys, Kuul, faranti, dheego,macawis, kooffi.


I nostri profumi si chiamano cuud, catar e persino barfuum (che deriva dall'italiano).
Ho l'armadio pieno delle stoffe, collane e profumi della mia mamma. Alcuni di essi sono il mio corredo nuziale che lei volle portarsi dietro durante la nostra fuga dalla Somalia.


Adoriamo i colori della terra e del cielo.
Abbiamo una lingua madre pieni di suoni dolci , di poesie, di ninne nanne, di amore verso i bimbi, le madri, i nostri uomini e i nonni. 


Abbiamo anche parti terribili come l'infibulazione (che non è mai religiosa, ma tradizionale) , ma le racconterei come siamo state capaci di fermare un rito disumano.
Come e perché abbiamo deciso di non toccare le nostre figlie, senza aiuti, fondi e campagne di sostegno. 


Ma soprattutto le racconterei di come siamo stati, prima della devastazione che abbiamo subito, mussulmani sufi e pacifici, mostrandole il Corano di mio padre scritto in arabo e tradotto in somalo..

Di quanti Imam e Donne Sapienti ci hanno guidato.
Della fierezza e gentilezza del popolo somalo. 


E infine ho trovato immorale e devastante l'esibizione dell'arrivo di Silvia data in pasto all'opinione pubblica senza alcun pudore o filtro.

In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre sigle del terrore. 

Ti abbraccio fortissimo cara Silvia, il mio cuore e la mia cultura sono a tua disposizione..

Soo dhowaw, gadadheyda macaan. 🌹❤️🇸🇴 🇮🇹
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0 Ho letto commenti vergognosi su SILVIA.


Ho letto commenti vergognosi su SILVIA.
La vita di SILVIA non ci appartiene, può praticare la religione che vuole, pregare nella lingua che vuole, vestirsi come ritiene opportuno.
L'ITALIA è un paese LAICO e la nostra COSTITUZIONE parla chiaro.
Certo non le perdonano il sorriso e la sua felicità ora.
ORA è bene fare SILENZIO e dare a SILVIA e alla sua famiglia tempo per elaborare tutto questo.



Ho letto questa mattina sulla Stampa, un articolo di Domenico Quirico pure lui sequestrato per 5 mesi, dal 6 giugno 2013 all'8 settembre dello stesso anno, credo che tutti lo dovrebbero leggere.

LA PRIGIONE IN UN ABITO VERDE ISLAM
Le donne prigioniere della jihad, vittime dei ricatti nel nome di dio.

Dio, come pesa quel barracano verde, come ci annaspiamo dentro. È come se lo gonfiasse tutto quello che in questi mesi interminabili Silvia Romano ha attraversato, come se avesse voluto portarli con sé, la prigionia, la violenza del sequestro, i segni dei nuovi indemoniati che ritengono che tutto sia permesso non più perché dio non esiste ma anzi proprio perché, per loro, il suo esistere li rende fanatici. In un vestito che non ha voluto lasciare dietro, che ha voluto esplicitamente come simbolo, c’è il mondo dell’islamismo radicale con i suoi codici le sue parole d’ordine i territori segreti l’incubo dei predicatori che sanno ispirare l’animo alla follia, (ah poveretti, voi non sapete quanto sono abili in questo), la sua manovalanza e suoi gerarchi.

Gli uomini di Al Shabaab, le loro opere criminali lo impregnano, ne fanno sentire la esplicita presenza in ogni piega. La seguono, non l’hanno liberata. Distanza e vicinanza.

L’immagine di Silvia ritornata, della sua giovinezza raggiante e minacciata, i suoi occhi sfavillanti, la sua bocca che corre dietro alle parole, agli abbracci, l’abito verde, come un illusionista, la moltiplica senza fine: la figura smarrita in una camera di fata morgana.

Naturalmente si potrebbe tacere. Non parlarne, non scriverne per discrezione o per pudore. Il linguaggio è sacro non si devono mai pronunciare parole alla leggera. Le parole fanno paura, talvolta: che cosa sono? Opera divina o diabolica? La conversione, il matrimonio con uno dei carcerieri: portarsi dentro le rivelazioni, le conferme come un veleno.

Accanto a una parola, una sola, vera, nuda, fremente di fraternità, una parola con la circolazione del sangue dentro, bisogna dire l’essenziale, allora, niente di superfluo.

C’è quell’abito che pesa. Lei ha voluto indossarlo, ci condanna e ci coinvolge. Non possiamo voltargli le spalle. Si offre allo sguardo di ognuno. Inganna o conferma? Ci costringe a ricordare che chi ha subito un sequestro nel tempo purtroppo senza via di uscita della jihad vive inevitabilmente in più di un mondo, non può ordinare al passato di spegnersi, invocare l’avvenire per illuminarlo. Significa far rivivere dentro di sé, non nei verbali delle procure, frammenti di esistenza, illuminare volti e avvenimenti, scelte fatte durante la prigionia, con una luce che non può purtroppo come per noi essere bianca o nera. Non può far scendere la sabbia che ricopre il volto delle cose, combattere l’oblio, scacciare la Morte.

E poi il nome. Conosco il rito dell’offerta della conversione: per averlo vissuto. Comincia con una proposta, gentile: quella di cambiare identità, di assumere un nome musulmano. Allucinante complessità del fanatico. Sconcertante impenetrabilità di personaggi a doppio, triplo fondo. Non gli basta tenerti in pugno, barattarti per denaro. Vogliono la tua resa, la tua anima. Non è un rito formale, piccole mercanzie da sacrestia islamica, è un obbligo, a cui credono sinceramente: salvare un miscredente dal peccato, portarlo alla vera fede, accrescere di una unità il paradiso dei puri, dei giusti. Che doppia vittoria! Poi lo si potrà vendere, sfruttare, possedere. Senza rimorso.

Nessuno ti dice che così la tua condizione di vittima, di prigioniero cambierà, che in quanto musulmano non subirai più violenze. Che sopravviverai. Forse ti libereranno… e allora…fuggire…forse, chissà. Ma ti accorgi immediatamente che l’abbandonare il nome, anzi gettarlo via come una cosa sporca, è l’equivalente, oh quanto più forte, del restare nudo, del lasciare i vestiti che ti hanno tolto subito dopo il sequestro. Sei debole, senti mancarti il terreno sotto i piedi, precipiti verso il fondo del trabocchetto, non sai neppure tu come ti devi chiamare. Sai che se dici sì, scivoli via da te stesso: obbligatoriamente. Adesso non hai più nome che non sia quello che loro ti hanno imposto, ogni volta che ti chiamano devi percorrere nella tua mente uno spazio, per capire che quel nome sei tu. Poi viene la proposta di pronunciare la preghiera, la dichiarazione di fede.

Ma l’idea di mentire, del prendersi gioco dei tuoi carcerieri, salvarsi con la riserva mentale, ingannarli? Sarebbe lecito, in fondo. Pensieri che partorisce la notte. Che non potrai disinvoltamente gettare via. Ma con dio non si scherza, soprattutto quando hai vicino di cella il dolore.

Cerchi la via di scampo. E se fosse proprio in questo dio in cui credono di credere i carcerieri? Un dio senza angoscia nella mente, senza incertezza, senza dubbio, senza un elemento di disperazione. Non si parli di sindrome di Stoccolma, del legame capovolto che si crea con chi ti fa del male. Semplicemente non esiste. Quello che cerchi, che sogni è avere un po’ di quella stanchezza felice che provano i convalescenti. Anche un dio implacabile e senza indulgenza può andare bene, ti può scorrere addosso come un balsamo. Il tuo, se lo avevi, sembra aver scelto il silenzio, ha perso la partita.

E poi: donna prigioniera della jihad. Si fa quasi fatica a parlarne, dà sofferenza: le terribili vedove del Califfato, Antigoni cieche dell’odio, che impugnano i figli come manodopera della rivincita.

L’adultera lapidata. O le jazide vendute come schiave al mercato, innocenti prostitute della guerra santa. Nella retorica della jihad non c’è posto per le donne, è un mondo di giovani guerrieri che costruiscono il loro paradiso insanguinato. Ma nella ipocrisia dei mercanti sanguinari di dio quante donne: kamikaze, produttrici di martiri, riposo del guerriero. Sequestrate.

Chi esce da un rapimento ha soltanto la sua memoria, l’esser rimasto vivo, i gesti che ha compiuto o non ha compiuto in una dimensione che, non bisogna dimenticare mai, è quella della violenza, del ricatto. Se gliela rifiutiamo questa memoria, qualunque sia, ditemi: che cosa gli resta?

Da La Stampa, Domenico Querico
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