Con sadica gioia e nazionale fierezza, non vedo l’ora che fra
qualche giorno si apra il periodo elettorale. Si può persino affermare
che lo sia già, che lo è sempre stato e che, visti i nostri costumi
parlamentari e i nostri gusti politici, che sono quelli di disprezzarci
gli uni con gli altri, questo non modificherà nulla delle nostre
abitudini e dei nostri piaceri. Ma ciò che è impossibile prevedere è la
sua fine, e se mai avrà una fine.
Dio non voglia!
Non si potrà più fare un passo per strada senza essere sollecitati,
adescati, entusiasmati da forti e diverse distrazioni, in cui il
piacere degli occhi si mescolerà alle gioie dello spirito, senza veder
stagliarsi l’infinita idiozia, l’infinita stoltezza della politica sui
muri, sui tronchi d’albero, sui pali indicatori. Ogni casa sarà
trasformata in sezione; in ogni pubblica piazza ci saranno raduni
urlanti; dall’alto di ogni pulpito, bizzarri personaggi vomitati da
chissà quali misteriose casseforti, strappati all’appiccicosa oscurità
di chissà quale caverna giornalistica, gesticoleranno, sbraiteranno,
abbaieranno e, con gli occhi iniettati di sangue, la bocca schiumante,
ci prometteranno la felicità. Da Aosta a Lecce, da Bolzano a Ragusa, per
renderci felici tutti si accuseranno di furto, di truffa, di
assassinio; si rinfacceranno a vicenda l’incesto, lo spionaggio, il
tradimento, l’adulterio; sbandiereranno conti bancari, bilanci di
partito, lenzuola da letto. L’Italia intera diventerà un’immensa latrina
in cui ignobili ventri riverseranno pubblicamente il flusso
pestilenziale delle loro deiezioni. Si camminerà nella spazzatura,
immersi fino al collo. E ci rallegreremo di questa posizione.
Sì! Che popolo meraviglioso siamo!
Se c’è una cosa che mi meraviglia prodigiosamente è che alle soglie
del terzo millennio, dopo essere passati attraverso innumerevoli
esperienze, dopo aver assistito a scandali quotidiani, possa ancora
esistere nel nostro Bel Paese un elettore, un solo elettore, questo
animale irrazionale, inorganico, allucinante, che consenta di
distogliersi dalle sue faccende, dai suoi sogni, dai suoi piaceri, per
votare in favore di qualcuno o qualcosa. Se ci riflettiamo un solo
istante, questo sorprendente fenomeno non è fatto per sconcertare le più
sottili filosofie e confondere la ragione? Dov’è il pensatore che ci
darà la fisiologia dell’elettore moderno? Dov’è lo scienziato che ci
spiegherà l’anatomia e la mentalità di questo incurabile demente?
Li aspettiamo.
Io capisco che un truffatore trovi sempre degli azionisti, la
Chiesa dei fedeli, la censura dei difensori, la televisione degli
spettatori; capisco che un semianalfabeta si ostini a cercar rime;
capisco tutto. Ma che un Deputato, o un Senatore, uno qualsiasi di
quegli strani buffoni che reclamano di possedere una qualsivoglia
funzione elettiva, trovi un elettore, ossia l’essere inimmaginabile, il
martire improbabile che lo nutra col suo pane, lo vesta con la sua lana,
lo ingrassi con la sua carne, lo arricchisca col suo denaro, con la
sola prospettiva di avere in cambio di queste prodigalità delle
randellate sulla nuca, dei calci nel deretano, quando non delle fucilate
nel petto — in verità, ciò supera la visione già molto pessimista che
m’ero fatto sin qui della stoltezza umana.
Ben inteso, sto parlando dell’elettore accorto, convinto,
dell’elettore teorico, di colui che pensa — povero diavolo! — di
compiere un atto da libero cittadino, di ostentare la sua sovranità, di
esprimere le sue opinioni, di imporre (o ammirevole e sconcertante
follia!) dei programmi politici e delle rivendicazioni sociali. Non
parlo certo dell’elettore che «se ne intende» e che se ne fa beffe, di
chi nei «risultati della sua onnipotenza» vede solo una indigestione
nella pizzicheria reazionaria, o una baldoria al vino progressista. È
nel vero, perché solo questo gli interessa e se ne frega del resto. Sa
quello che fa.
Ma gli altri?
Ah! Sì, gli altri! I seri, austeri, i popolo sovrano, quelli che si
sentono invadere dall’ebbrezza quando si guardano e si dicono: «io sono
elettore! Niente si può fare senza di me. Io sono la base della società
moderna. Grazie alla mia volontà, Tizio fa leggi a cui sono sottoposti
milioni di esseri umani, e Caio pure, e Sempronio anche». Come possono
ancora esistere simili campioni? Per quanto testardi, orgogliosi,
paradossali, com’è possibile che dopo tutto questo tempo non siano
ancora scoraggiati e vergognosi delle loro attività? Com’è possibile che
da qualche parte — persino nelle lande più desolate della Padania, o
nelle più inaccessibili caverne dell’Aspromonte — si incontri un
brav’uomo così stupido, così irragionevole, così cieco a quanto si vede,
così sordo a quel che si dice, da poter votare verde, bianco o rosso,
senza essere costretto da qualcuno, senza essere pagato per farlo?
A quale strano sentimento, a quale misteriosa suggestione può
obbedire questo bipede pensante, dotato di una volontà (perlomeno
presunta) e che, fiero del suo diritto, sicuro di aver adempiuto a un
dovere, se ne va a deporre una scheda in una qualunque urna elettorale?
Dentro di sé, deve pur dirsi qualcosa che giustifichi o che almeno
spieghi il suo atto stravagante. Che cosa spera? Perché infine, per
acconsentire a donarsi a padroni avidi che lo derubano e lo accoppano, è
necessario che egli si dica e che speri in qualcosa di straordinario
che noi non supponiamo. È necessario che, grazie a potenti deviazioni
cerebrali, le idee del deputato corrispondano per lui a idee di scienza,
di giustizia, di lavoro e di probità. È necessario che egli scopra una
magia speciale nei soli nomi di Bersani e Berlusconi, non meno che in
quelli di Monti e Vendola, e che attraverso un miraggio veda fiorire e
schiudere in Casini e Grillo delle promesse di futura felicità e di
sollievo immediato.
E questo è veramente spaventoso. Niente gli funge da lezione, né le commedie più burlesche, né le tragedie più sinistre.
Ebbene, nel corso dei secoli in cui il mondo dura, in cui le
società si svolgono e si succedono, simili le une alle altre, un fatto
unico domina tutte le storie: la protezione per i grandi, l’oppressione
per i piccoli. Non riesce a capire che ha una sola storica ragione
d’essere: pagare per un mucchio di cose di cui non godrà mai e morire
per combinazioni politiche che non lo riguardano affatto.
Che gli importa se è Tizio o Caio a pretendere denaro e prendergli
la vita, dal momento che è obbligato comunque a privarsi dell’uno e a
dare l’altra? Ebbene no! Tra i suoi ladri e i suoi carnefici, ha delle
preferenze e vota per i più rapaci e i più feroci. Egli ha votato ieri,
voterà domani, voterà sempre. Le pecore vanno al mattatoio. Non dicono
niente, loro, e non sperano niente. Ma per lo meno non votano per il
macellaio che le ucciderà, né per il padrone che se le mangerà. Più
bestia delle bestie, più pecora delle pecore, l’elettore elegge il suo
boia e sceglie il suo padrone. Ha fatto delle Rivoluzioni per
conquistare questo diritto.
O buon elettore, indescrivibile imbecille, povero diavolo, se
invece di lasciarti prendere dagli assurdi ritornelli che ogni mattina
ti spacciano per due soldi giornali grandi e piccoli, azzurri o neri,
bianchi o rossi, e che sono pagati per avere la tua pelle; se invece di
credere alle chimeriche adulazioni con cui si accarezza la tua vanità,
con cui si circonda la tua penosa sovranità inginocchiata; se invece di
fermarti, eterno curioso, davanti alle pesanti frodi dei programmi; se
leggessi di tanto in tanto qualche filosofo del passato che la sapeva
lunga sui tuoi padroni e su di te, forse impareresti qualcosa di
sorprendente e utile. Forse, dopo averlo letto, avresti meno fretta di
indossare la tua aria greve e il tuo bel cappotto per correre poi alle
urne omicide dove, qualsiasi nome metterai, indicherai il nome del tuo
più mortale nemico. Da vero conoscitore dell’umanità, ti svelerà che la
politica è un’abominevole menzogna, dove tutto è il contrario del buon
gusto, della bellezza e dell’etica.
Se vuoi, sogna pure paradisi di luci e di profumi, di fratellanze
impossibili, di felicità irreali. È bello sognare, attenua la
sofferenza. Ma non mescolare mai l’uomo al tuo sogno, perché dove c’è
l’uomo, là ci sono il dolore, l’odio e l’omicidio. Ricordati soprattutto
che l’uomo che sollecita i tuoi suffragi è di per sé un disonesto,
perché in cambio della situazione e della fortuna verso cui lo spingi,
ti promette un mucchio di cose meravigliose che non ti darà e che del
resto non ha il potere di darti. L’uomo che eleggi non rappresenta né la
tua miseria, né le tue aspirazioni, né qualcosa di te; rappresenta solo
i suoi interessi, che sono opposti ai tuoi. Per confortarti e
rinvigorire dalle speranze che saranno presto deluse, non pensare che il
penoso spettacolo a cui assisti oggi sia caratteristico di un’epoca o
di un regime, e che passerà. Tutte le epoche si equivalgono, e anche
tutti i regimi, cioè non valgono niente. Quindi torna a casa, brav’uomo,
e fai lo sciopero elettorale. Non hai nulla da perderci, te lo
assicuro; e ti potrai divertire per un po’. Sulla soglia di casa,
sbarrata ai postulanti dell’elemosina politica, guarderai sfilare la
bagarre.
E seppur in un angolo sconosciuto esistesse un onest’uomo capace di
governarti e di accudirti, non rimpiangerlo. Sarebbe troppo geloso
della sua dignità per mescolarsi alla lotta fangosa dei partiti, troppo
fiero per ricevere da te un mandato che accordi solo al cinismo, al
malaffare e alla menzogna. Te l’ho detto, brav’uomo, tornatene a casa a
scioperare.
fonte:finimondo