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martedì 31 luglio 2018

0 “Il conflitto israelo-palestinese. La ragazza ribelle”

“”Ahed Tamimi non ha un velo in testa, nemmeno una tunica nera lunga fino ai piedi. Ahed Tamimi ha una cascata di capelli ricci, occhi chiari, jeans e una maglietta attillata che valorizza le sue forme di diciassettenne. Ahed Tamimi potrebbe essere parigina, romana, americana. Una ragazza che va in piazza per protestare contro la riforma della scuola o i tagli al welfare. Invece è palestinese e per strada, accanto a casa sua, nel villaggio di Nabi Saleh, venti chilometri a nord di Ramallah, nel dicembre scorso aveva preso a schiaffi e pugni due soldati israeliani, per questo era stata condannata a otto mesi di prigione. Con un piccolo sconto di pena ieri è tornata a casa, grazie a una “ valutazione speciale” dell’Autorità carceraria dello Stato ebraico in cui ha probabilmente pesato il valore simbolico che l’adolescente ha assunto per la causa del suo popolo. Perché d’incanto l’icona della resistenza non ha più il volto truce di miliziani di Hamas che lanciano missili contro la popolazione civile, o “martiri” con cinture esplosive e un versetto del Corano scritto su una bandana verde pronti a farsi esplodere in una discoteca dove ballano i loro coetanei. Ahed Tamimi è la figlia, la sorella minore. Il suo aspetto la rende familiare, riconoscibile come una del “nostro” mondo, che lotta a mani nude contro l’occupazione della sua terra. Non imbraccia un fucile, la violenza che esprime sta nella forza delle sue braccia. Ed è donna calata nel panorama maschile della guerra a rovesciare cliché. Ahed Tamimi è figlia di Bassem, militante di Fatah, il movimento laico che fu di Yasser Arafat e che dalla morte del leader è riuscito ad esprimere solo una nomenklatura invecchiata e corrotta. E che ora, grazie al volto pulito e arrabbiato di una ragazza, trova la linfa per rialzare la testa e la osanna valutando il suo gesto «più utile di quelli di mille combattenti». La postura con cui ha retto l’interrogatorio in cui ha ribadito di avere «il diritto di non rispondere alle domande» è la strategia legalista con cui guadagnare il consenso che nessun atto terroristico potrà mai portare. Benché così giovane, Ahed è già una veterana dei cortei contro l’occupazione a cui partecipa da quando era bambina, costretta a diventare in fretta adulta, e non c’è membro della sua famiglia che non sia passato dalla prigione. Non ha avuto il tempo per godersi l’età dell’innocenza e certo è stata anche usata da chi ha capito che gli occhi infantili sono gli unici a poter commuovere un’opinione pubblica fattasi distratta. Ma nel giorno in cui si celebra la fine del carcere di Ahed sia concesso anche un pensiero per quei soldati da lei presi a schiaffi senza reagire. Non sempre nei Territori occupati i militari israeliani hanno mostrato tanto autocontrollo. Nemmeno davanti a dei bambini.””
 di Gigi Riva



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