viva la pheega

martedì 15 ottobre 2019

0 L’inutile ed ipocrita embargo sulle armi alla Turchia


L’invasione turca del nord della Siria per istituire una fascia di sicurezza che la metta al riparo dagli attacchi dei curdi del Ypg/Pyd, l’operazione “Sorgente di pace” scatenata lo scorso mercoledì, sta suscitando indignazione nell’opinione pubblica occidentale e le prime reazioni delle cancellerie europee.
Germania, Francia, Norvegia, Finlandia e Paesi Bassi hanno annunciato di voler sospendere (o aver già sospeso) la vendita di armi alla Turchia per cercare di dare un segnale forte ad Erdogan. Anche l’Italia sembra intenzionata a percorrere questa strada, con il neo ministro degli Esteri Di Maio che si è fatto portavoce di una istanza, da depositare in seno all’Ue, per un embargo comunitario verso Ankara che vieti la vendita di armamenti.
La Turchia nel 2018 ha speso 22.088 milioni di dollari nel campo della Difesa di cui 4.574 sono stati destinati all’acquisto di elicotteri ed aerei da guerra, in particolare per gli F-16 americani che costituiscono la spina dorsale dell’Aeronautica Militare Turca (Türk Hava Kuvvetleri) con un picco di spesa, per questi assetti, di 1.124 milioni nel 2014. Il Bilancio della Difesa turco è andato progressivamente aumentando negli ultimi 10 anni, con un’impennata proprio tra il 2017 ed il 2018: se Ankara spendeva 13.357 milioni di dollari nel 2009, con un andamento costante negli anni successivi, tra il 2016 e il 2018 la curva schizza verso l’alto toccando prima i 16.630 milioni e poi i 22.088 milioni del 2018.
Per capire se un embargo sugli armamenti possa davvero essere efficace, o restare solo una misura “di facciata”, è bene però andare a guardare a quello che la Turchia dispone nei suoi arsenali e soprattutto da chi lo prende.
Prima di cominciare la disamina è bene precisare un fattore poco noto ma fondamentale: la politica della Turchia è sempre stata quella, in anni recenti, di acquisire sistemi d’arma stranieri solo a seguito della cessione dei contratti di produzione su licenza. Così è avvenuto, ad esempio, proprio per gli F-16 americani, che vengono prodotti in Turchia dalla Turkish Aerospace Industries  che ne ha costruiti in totale, ad oggi, 232 nelle versioni C/D Block 30 e 40 (rispettivamente 157 e 87).
La Turchia poi, guarda alla Russia per i propri sistemi d’arma non solo negli ultimi tempi, ovvero da quando si è aperta la crisi con gli Stati Uniti per l’affaire S-400/F-35, ma da quando è caduta la Cortina di Ferro. Nei suoi arsenali sono presenti elicotteri di fabbricazione russa Mil Mi-17, veicoli blindati trasporto truppe Btr 80 e svariate produzioni locali di pezzi di artiglieria di derivazione sovietica.
La Turchia produce in proprio anche altri veicoli corazzati, alcuni su licenza – come gli M-113 – altri derivati direttamente da costruzioni americane: come la Cobra, un mezzo blindato derivato dall’americana Humvee e costruita dalla turca Otokar.
Nel campo degli Mbt (Main Battle Tank) la Turchia dispone tra i più grandi arsenali di carri in Europa e forse nel mondo, sebbene sia costituito per la maggior parte da obsoleti M-48 e M-60 americani, riadattati e aggiornati in casa dalle industrie locali. La punta di lancio delle forze corazzate turche è rappresentata dal carro Leopard 2A4, presente in 339 esemplari, e anch’esso costruito parzialmente in casa.
Tali parziali costruzioni autoctone hanno permesso alla Turchia di acquisire sufficiente esperienza e competenza per la progettazione casalinga di un nuovo Mbt, l’Altay, che molto probabilmente vedrà la luce nel 2020.
Questa strategia, unita a sempre maggiori investimenti da parte dello Stato nella Difesa, ha avuto i suoi frutti: le importazioni di assetti come mezzi blindati, pezzi di artiglieria e relativo munizionamento, sistemi Mlrs, è praticamente scesa a zero. Negli ultimi sei anni il colosso dell’industria militare turca, Aselan, è stato capace di sopperire e sostituire le importazioni con produzioni autoctone, sia su licenza sia del tutto nuove.
Turchia che anche in campo dei sistemi missilistici da difesa sta cercando di “fare da sé” proprio guardando alla Russia, che sembra abbia concesso la produzione di parti e sottosistemi degli S-400. Aggirato così anche l’embargo sui sistemi Samp/T, costruiti da un consorzio franco-italiano che vede presenti Mbda e Thales, e che avrebbe dovuto inaugurare la produzione di tali sistemi missilistici anche in Turchia proprio con la Aselan e la Roketsan.
Turchia che è attiva anche nel campo dei sistemi unmanned con gli Uav Bayraktar Tb2, che sono stati impiegati in Siria, ma venduti anche alla Libia, e prodotti dalla compagnia Baykar che ha concluso recentemente accordi per la loro fornitura a Qatar, Ucraina e, ovviamente, all’esercito turco.
Ankara infatti, sebbene si sia piazzata al tredicesimo posto tra i Paesi importatori di armi – con la possibilità di passare al sesto data dall’acquisto degli S-400 – è diventata anche una realtà di esportazioni: i progressi dell’industria della Difesa hanno garantito ad Ankara entrate per un miliardo di dollari nei primi sei mesi del 2019, dimostrando una tendenza in crescita se si considera che le esportazioni di armi da parte di Ankara si erano fermato a 784 milioni nel 2018.
Per quanto riguarda l’Italia, nel 2018 abbiamo venduto materiale bellico alla Turchia per circa 360 milioni di euro che valgono circa il 15% del totale delle esportazioni militari italiane. La cifra è molto superiore, per esempio, a quella delle esportazioni tedesche, che nel 2018 sono ammontate a 243 milioni di euro, quasi un terzo del totale nazionale. Il dato delle esportazioni belliche italiane in Turchia è poi in forte crescita: nel 2017 erano state di 266 milioni, e l’anno prima di 133 milioni. Sono però piccoli numeri in confronto al bilancio della Difesa turco ed in particolare alla voce che riguarda le importazioni, che pure sta sensibilmente calando come abbiamo avuto modo di dire.
Un embargo sugli armamenti da parte dell’Ue, ma anche degli Stati Uniti, non avrebbe quindi alcun effetto sulla riuscita o meno dell’offensiva turca, anzi, suonerebbe molto ipocrita proprio per i numeri, che come abbiamo visto sono molto piccoli, in gioco: una presa di posizione, quindi, esclusivamente di facciata.

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