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mercoledì 5 settembre 2018

0 Dietro la bandiera di Salò l’Italia della vergogna e del disonore

di Vindice Lecis

Guardandoli nelle foto, mi chiedo che cosa abbiano piantato in quelle teste. Che cosa abbiano letto, quali emozioni provochino ancora in loro le fascinazioni hitleriane della razza, della violenza, della soluzione finale. O del fascismo mussoliniano e di quello crepuscolare di Salò. Che cosa significhino il concerto di onore, di patria, di giustizia. E cosa rappresenti per costoro la democrazia di cui utilizzano la troppo ampia tolleranza.

 Il braccio teso nel saluto fascista, occhi spiritati, volti contratti preda dell’esaltazione. Fuori campo una voce stentorea che ordina di stare sull’attenti, di rendere omaggio a un certo camerata, di rompere le righe. Lo sparuto manipolo di fascisti sardi inquadrati militarmente che ha inscenato la triste, umiliante, patetica manifestazione nostalgica di Sassari, voleva fare discutere con quel video rilanciato in rete proprio dal figlio dell’uomo del quale si celebravano i funerali. Si definiscono fascisti del terzo millennio, sono stati sdoganati anche da giornalisti che non hanno capito che l’antifascismo non è la cerimonia del the alle cinque ma stanno bene attenti a non farsi pizzicare compiendo plateali reati. Menano per il naso poliziotti e magistrati, esibendo il saluto romano nelle sole cerimonie, facendosi forti di una bizzarra pronuncia della Cassazione che non lo considera reato. Loro dicono che no, non stanno ricostruendo il partito fascista ma non sempre riescono ad aggirare il reato di apologia del fascismo.

 Ma dietro la bandiera della repubblica di Salò poggiata su una bara c’è un oltraggio alla storia italiana.

 La repubblica fantoccio di Salò è stata un lembo del territorio italiano dato in mano ai nazisti con i quali i fantasmi del fascismo sconfitto – da Mussolini a Pavolini a Graziani – confermarono la mortale alleanza strategica. O meglio ne furono gli strumenti locali, da utilizzare nell’anti guerriglia al pari delle divisioni mongole o delle formazioni ucraine o polacche, formando feroci polizie e comandi di sicurezza. Gli italiani furono dietro tutte le stragi naziste che causarono migliaia di morti. Italiani furono i rastrellatori sugli Appennini o i cani da guardia nelle città.

 Brigate Nere, Guardia nazionale repubblicana, SS italiane, Legione Muti, Bande Kock, Carità, Pollastrini, Bardi, Chiurco, Finizio Panfi, Maestri, la Sichereits italiana, i distaccamenti Op, l’ispettorato speciale polizia antipartigiana, la 1 divisione d’assalto Tagliamento, il Battaglione indiano, le ausiliare comandate dalla contessa Fondelli Gatteschi capaci di crudeltà inaudite, Corpo volontari della Morte, corpi speciali di varia denominazione e infine la X Mas. Formazioni utilizzate  in quella che il feldmaresciallo Kesserling chiamava “lotta al banditismo”. Queste formazioni si fecero notare per crudeltà ed efferatezza contro i loro connazionali. Spesso, a metà trada tra formazioni irregolari e combriccole di tagliagole, come le ha definite lo storico Franzinelli.

 Salò è il livido crepuscolo del fascismo. Una finta repubblica con finti ministeri ostaggio delle SS, dove si muovevano, con Mussolini, personaggi efferati come lo squadrista Pavolini capo del nuovo Pfr, il massacratore Graziani, il ministro di polizia Buffarini Guidi, il magistrato Tringalli Casanova già presidente del Tribunale speciale, il razzista Mezzasoma (con Giorgio Almirante) alla cultura popolare. La repubblichetta di Salò cercò di definire per sé stessa un contenuto ideologico, vagheggiando un ritorno al fascismo originario, e chiese aiuto al filosofo Gentile (giustiziato poi dai Gap fiorentini) per stilare una carta di principi che guardava demagogicamente alla classe lavoratrice. E’ da allora che nacque il termine ambiguo di pacificazione, perché Mussolini, vistosi ormai perduto cercò di salvare se stesso e il movimento da lui creato dall’imminente catastrofe. E’ durante la Rsi che vennero inseriti a fondamento i principi razzisti del nazismo.

 Gli italiani vedevano in Salò un governo ostile, filo nazista, occupante. In mancanza di volontari arrivò dunque la leva obbligatoria. Chi rifiutava veniva fucilato o deportato. Su 180 mila chiamati alle armi il 9 novembre 1944 le reclute furono 44.000 ai quali si aggiunsero 6000 volontari. Insufficienti al punto che Mussolini chiese a Hitler di concedergli di organizzare 4 divisioni con i 600 mila militari italiani internati in Polonia e Germania. Ma il rifiuto fu pressochè unanime e costituì uno dei primi atti di resistenza. Alla fine l’esercito repubblichino raggiunse 120 mila effettivi, ai quali si aggiunsero 100 mila uomini della Gnr compresi 45 mila carabinieri, i 10 mila italiani inquadrati nell’esercito tedesco, tre o quattromila brigatisti neri. Le Ss italiane, ricorda Primo de Lazzari, si proclamarono apertamente naziste “al punto da giurare in pubblico fedeltà al nazismo, alla Germania e non all’Italia”. I suoi effettivi si dimostrarono “privi di qualsiasi codice d’onore militare e non meno feroci delle Ss germaniche”.

 Poi c’era Junio Valerio Borghese uno dei personaggi più pericolosi e ambigui (salvò la pelle grazie agli Alleati ai quali rese servigi preziosi e fu il promotore di un tentativo di colpo di stato nel dicembre 1970). Combatteva con i nazisti “per l’onore” e i suoi 15 mila uomini (aveva inglobato la Ettore Muti con molti delinquenti comuni tra le fila, concentrato di brutalità e violenza) furono schierati principalmente contro le formazioni partigiane e per breve tempo sul fronte di Anzio. Anche i tedeschi in molti loro documenti, in particolare a proposito del battaglione Muti, descrissero la brutalità e il sadismo dei fascisti italiani.

 Voi dunque che mettete la bandiera di Salò su una bara, immagino non sappiate che i cosiddetti ministeri erano guardati a vista dalle Ss, che il generale Wolf controllava mattina e sera ogni passo del vostro duce, che veniva praticato un isterico estremismo filonazista e razzista (vedi Giovanni Preziosi), che Mussolini tremebondo incontrando i partiti del Cln il 25 aprile 1945 cercava di salvarsi la vita, che i vostri valorosi eserciti si dissolsero sotto l’attacco continuo delle Brigate partigiane, dei Gap e delle Sap, e dall’avanzata alleata.

Voi vi rifate, senza conoscerla, a quella storia e la assumete come paradigma di lealtà e onore. Ma vorrei ricordare il suo epilogo. Quando in nome del popolo italiano e su ordine del Cnl, il 29 aprile 1945 il capo del fascismo fu giustiziato a Giulino di Mezzegra dai partigiani comandanti da Walter Audisio e i suoi tremebondi gerarchi uccisi a Dongo. E poi appesi a Piazzale Loreto a testa in giù, nel luogo simbolo del martirio di partigiani e civili.

 “La Rsi – ha scritto lo storico Pavone – non avrebbe in realtà potuto durare un solo giorno senza il sostegno tedesco”. E infatti, al momento della resa dei conti, delle insurrezioni popolari e partigiane queste formazioni armate si sciolsero come il burro.

“Il tempo che passa tende ad affievolire la memoria di fatti cruciali di cui furono teatro il nostro paese e l’Europa negli anni dal 1943 al 1945 – ha scritto Arrigo Boldrini, medaglia doro della Resistenza – E’ vitale che la memoria storica sopravviva, che le passioni e le vicende vissute da milioni di persone non siano patrimonio dei soli protagonisti ma si trasmettano alle generazioni successive come un viatico della memoria storica, di consapevolezza, di formazione delle coscienze”. Così non potremno mai dimenticare i partigiani che hanno combattito per la libertà e chi invece la osteggiò e aiuto i carnefici nazisti nelle stragi di italiani di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Vinca, Boves, Fucecchio, Madonna dell’Albero di Piacenza, Ferrara, Caiazzo, Bellona, Capisterllo, Lanciano, Pietransieri, Bardine San Terenzio, Leonessa, Rionero in Vulture, Cumiana, Cerosa di Farneta, Vecchiazzano, San Leonardo al Frigido, Bettole Vezzano, Isola Liri, Collelungo, Blera, Ponti della Valle, Acrra, Montefosco, Mondragone, Meina, Vignanello, Boville, Sparanise, Fornelli, Cerignola, Forno Massa Carrara, Filetto, Ruviano, Patrica, Casaluce Caserta, Bitetto, Nola, Barletta, Conca Campania, Onna, Nuina, Ovaro. E anche Cefalonia e Corfù, e i seicentomila deportati.

 I nemici, gli stragisti, i torturatori, i sadici erano tutti dietro quella bandiera poggiata sulla bara.

 Tienilo ben in mente, camerata Todini.

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