Per gli italiani e gli antifascisti che, nel secondo dopoguerra, l'hanno
conosciuto o, semplicemente, hanno saputo di lui, era affettuosamente
"Papà Cervi". Eppure è stato una figura leggendaria tra quante hanno
illustrato la Resistenza italiana. Di lui e dei suoi sette figli
trucidati hanno scritto, tra i tanti, Piero Calamandrei, Renato Nicolai,
Luigi Einaudi, Arrigo Benedetti; ma a dirne la tempra sono le sue
stesse parole, pronunciate dopo che gli fu consegnata una medaglia
d'oro, realizzata dallo scultore Marino Mazzacurati, che da un lato reca
l'effigie di Alcide e dall'altro un tronco di quercia tra i cui rami
spezzati brillano le sette stelle dell'Orsa: "Mi hanno sempre detto 'tu
sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati
falciati, e la quercia non è morta' la figura è bella e qualche volta
piango. Ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona
nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il
seme. Il nostro seme è l'ideale nella testa dell'uomo". A quello stesso
ideale si richiamava il padre di Alcide, Gelindo, imprigionato nel 1869
per aver partecipato ai moti contadini contro la tassa sul macinato che,
solo a Campegine, erano costati sette morti e dodici feriti tra i
dimostranti e sessanta arresti. Lo stesso ideale, alla scuola
dell'apostolo socialista Camillo Prampolini, Alcide Cervi seguì per
tutta la vita. Durante la dittatura, quando con la sua famiglia si
limitava a lavorare duramente i campi, subì perquisizioni e
persecuzioni, ma non si piegò mai ai fascisti. Così, il 26 luglio del
1943, tutti Cervi erano a Reggio Emilia, alla manifestazione per esigere
la scarcerazione dei detenuti politici. Dopo l'8 settembre i Cervi
organizzarono la fuga dei prigionieri alleati dal campo di Fossoli, li
accolsero nella loro fattoria e con loro, con la famiglia Sarzi, che
gestiva una compagnia di teatro viaggiante, e con altri amici
organizzarono una formazione partigiana della quale faceva parte pure un
sacerdote, don Pasquino Borghi, che verrà catturato e fucilato. La
notte del 25 novembre 1943 i fascisti accerchiarono la casa dei Cervi,
che si difesero sparando dalle finestre sino a che ebbero munizioni.
Costretti ad arrendersi furono tutti incarcerati a Reggio Emilia, dove i
sette fratelli furono fucilati, con il patriota Quarto Camurri,
all'alba del 28 dicembre. Alcide, che ignorava la sorte dei figli,
rimase in carcere sino al 7 gennaio 1944, quando un bombardamento aereo
smantellò l'edificio e gli permise di fuggire. Tornato a casa, la trovò
distrutta, apprese che tutti i figli erano stati sterminati, ma non si
piegò. Con la moglie, Genoeffa Cocconi, le quattro nuore e dieci
nipotini riprese a lavorare per ricostruire la casa e condurre la terra.
Il 10 di ottobre i fascisti tornarono e distrussero quel che i Cervi
superstiti avevano ricostruito. Genoeffa non resse e un mese dopo morì.
Alcide resistette ancora e per altri 14 anni, con quel che gli era
rimasto della famiglia, continuò a coltivare il seme della libertà. Oggi
la sua casa è museo della Resistenza.
lunedì 26 marzo 2018
0 Per non dimenticare....Alcide Cervi, morto nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1970 all'ospedale di San Ilario (RE).
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