Io li conosco quelli del Collettivo Universitario Autonomo di
Bologna. Ho avuto l’onore e il piacere di prendere la parola in due
convegni organizzati da loro in meno di due anni, pubbliche iniziative
alle quali hanno partecipato centinaia di studenti. Dibattiti,
confronti, buona musica, cene a prezzi più che popolari, a base di
ricette bolognesi e interplanetarie. Soprattutto, in mezzo a loro ho
respirato una voglia potentissima di costruire un mondo diverso,
studiare, lottare contro le ingiustizie, riprendersi un tetto, gli
spazi, la vita. Non sono zombie, i ragazzi del CUA di Bologna. A
differenza della massa dei loro coetanei, non vivono un’esistenza
passiva, fatta di movida posticcia, droghe sintetiche, rassegnazione e
vanaglorioso carrierismo. Non delegano la soluzione dei problemi a un
qualsiasi cretino rintanato in una sede di partito, magari capace di
mettere in fila due parole in italiano. Il loro sogno non è finire
dietro la scrivania di un qualche ufficio dimenticato da Dio, a lavorare
per una multinazionale. Sono certo che mi perdoneranno se li chiamo
così, “ragazzi”, che può apparire come un termine banalizzante. Ma il
fatto è che tali sono: ragazzi. Come lo era Carlo Giuliani, come lo era
mia madre uscita povera e scalza dalla seconda guerra mondiale perché
suo padre si era opposto alla “normalità” di un regime voluto da milioni
di altrettanto normalissimi italiani. Tutti i ragazzi del mondo
coltivano dei sogni. Il problema è che la maggior parte dei ventenni
odierni insegue il sogno tossico che le classi politiche avvicendatesi
al potere scandiscono da almeno quarant’anni: “Andate e arricchitevi
tutti”. Come se fosse possibile arricchirsi senza calpestare i propri
pari, senza prostrarsi dinanzi ai poteri, senza rinunciare a vivere.
Non è difficile capire perché ad attaccare il CUA siano soprattutto
quelli che dicono di essere “di sinistra”. Non è arduo comprendere come
mai al coro “crocifiggi”, scandito dai media reazionari, si unisca
l’accorato appello “democratico” alla magistratura e alla digos,
affinché tornino ad applicare le leggi speciali e i reati associativi di
cui si è fatto sempre largo uso nella storia di questo Paese. Da
sempre, molti “sinceri” e “normali” democratici ci odiano. Loro odiavano
i rivoltosi di piazza Statuto, i ribelli degli anni sessanta e
settanta, odiavano gli operai dell’autunno caldo, odiavano le donne che
diedero vita al movimento femminista e gli studenti che cacciarono Lama
dalla Sapienza. Odiavano gli occupanti dei centri sociali degli anni
novanta e il movimento che nel 2001 si oppose ai potenti della Terra.
Odiavano gli studenti dell’Onda. Detestano chi prova a costruire
un’alternativa egualitaria di vita, chi non abbassa la testa dinanzi al
neoliberismo che ispira la quasi totalità dei sedicenti progressisti
annidati nelle istituzioni. Ci odiano perché sebbene mediante la
delazione abbiano consegnato più di una generazione alla tortura, alle
galere italiane e all’eroina, qua e là continuano ad affiorare
intelligenze critiche capaci di aggregarsi, sottrarre terreno alla
violenza del neoliberismo che devasta le risorse naturali, sfrutta i
sentimenti, i corpi e il sangue di milioni di disperati.
Solo una mente meschina può fingere di non sapere che quelli del CUA
conducono da anni lotte che vanno ben al di là della questione dei
tornelli. Qualsiasi persona dotata di semplice buonsenso dovrebbe
esprimere gratitudine a questi ragazzi che si sforzano di riportare la
vita sociale nelle periferie e nell’università. Soltanto un idiota o una
persona in malafede può pensare di realizzare la “sicurezza” blindando
le piazze e gli angoli bui delle nostre città, riempiendole di
telecamere a circuito chiuso, tornelli e posti di blocco. Fate un giro
nel “campus” universitario di Arcavacata nei week end. Proverete la
stessa sensazione di “sicurezza” che si può provare in un deserto o in
mare aperto, viaggiando da soli in groppa a un cammello o dentro un
gommone.
Non me ne vogliano gli animalisti. Amo anch’io i cani e mai vorrei
eleggerli strumenti della mia collera. Ma, care “anime belle” e stupidopinionisti
che predicate il totalitario “rispetto delle regole”, vi auguro di
essere aggrediti da un branco di cani randagi mentre passeggiate su uno
degli infiniti spettrali marciapiedi che la vostra ossessione
securitaria ha desertificato in questi anni. Non che vi facciano male,
basterebbe solo qualche morso al sedere. E spero tanto che quando
chiamerete la vostra polizia, vi risponda: “Siamo spiacenti, non è di
nostra competenza. Rivolgetevi alla polizia municipale”, proprio
nell’istante in cui il più piccolo dei cani vi strappa un brandello di
sedere e corre a mangiucchiarselo in un prato, in santa pace. Voglio
vedere quale reato di “associazione canina” inventerete, stavolta,
delatori!