Giornata memorabile, ieri, 3 ottobre. Fin
dal mattino, picchetti per lo sciopero generale, e poi una
manifestazione dietro l’altra, fino alla serata. Qualcuno parla di
“milioni” di persone in piazza, in Catalogna e (molto meno) nel resto
dello Stato spagnolo. Difficile credere a cifre così elevate (la
Catalogna ha poco più di 7 milioni di abitanti). Ma l’impressione di una
mobilitazione eccezionale resta, incontestabile.
Verso le 10 prendo la bicicletta (i
trasporti pubblici sono paralizzati) per andare dal Poble Nou (zona nord
della città) al carrer Comte d’Urgell, dove è previsto un presidio
della CNT (una delle sigle eredi della gloriosa CNT degli anni Trenta)
davanti alla sede barcellonese del PP. Sono circa quattro chilometri, e
non ho voglia di farli a piedi, soprattutto in previsione di una
giornata di cortei lenti e prolungati. Lungo la strada i negozi e i
supermercati sono quasi tutti chiusi. Aperti la maggior parte dei bar e
dei negozi di alimentari dei “pakis” (gli immigrati, quasi tutti
pakistani, diventati bottegai a ciclo continuo, 24 ore su 24). Già
questo (che comunque è tradizione negli scioperi generali qui) la dice
lunga sull’impatto dello sciopero. Quando arrivo in Urgell prima
sorpresa: la CNT è una piccola organizzazione anarco-sindacalista (la
più grande delle eredi di cui parlavo sopra si chiama ora CGT), e
difficilmente mobilita più di un paio di centinaia di militanti. Mi
aspettavo un numero maggiore del solito, date le circostanze, ma non
così. Urgell è strapiena di gente, difficile calcolare, ma sicuramente
molte migliaia. Sono al 90% giovani, quasi sicuramente studenti.
Moltissimi con le bandiere catalane, inalberate o usate come mantelli.
Ci sono anche molte bandiere repubblicane e bandiere rosse, con o senza
la falce e il martello. La testa del corteo che scende verso il centro è
degli studenti “catalanisti” che urlano continuamente slogan
indipendentisti, anti PP e repubblicani, e “Viva la Catalogna
antifascista”. Poi finalmente lo spezzone dei promotori del
concentramento, gli anarcosindacalisti della CNT, molto più numerosi del
solito. Età più avanzata (prevalgono i trenta-quarantenni), bandiere
rosso-nere, slogan antirepressione (of course!) e anticapitalisti.
Approfitto del fatto che i compagni di Radio Onda d’Urto mi hanno
chiesto di intervistare un po’ di gente. Mi sorprende soprattutto una
ragazza sui vent’anni. Ha la bandiera repubblicana. È di EUiA (Izquierda
Unida catalana, legata al PCE-PSUC). Ha votato NO al referendum di
domenica, ma è in piazza contro la repressione e per difendere il
diritto del popolo catalano a decidere del suo futuro. Durissima contro
la Policia Nacional e la Guardia Civil, non ci sta ad “incensare” i
Mossos de Esquadra (come invece tendono a fare i catalanisti, persino
molti di quelli d’estrema sinistra, almeno ufficialmente), dimenticando
che fino all’altro ieri erano quelli che caricavano i manifestanti,
sparando le famigerate palle di gomma in faccia alla gente. Si augura
una federazione repubblicana dei popoli di Spagna. Un discorso per certi
versi più radicale non solo del ragazzino con la bandiera catalana che
intervisto poco dopo, ma persino dell’anarco-sindacalista della CNT
(vestito di nero, sui quarant’anni, sfoggia una bellissima bandiera
rossonera) che si dichiara contento del fatto che i “Mossos abbiano
difeso il popolo di Catalogna domenica”. Anche se, ad una mia successiva
domanda, dichiara che non si può dimenticare l’atteggiamento repressivo
mostrato fino a ier l’altro dalla polizia catalana.
Il corteo si ingrossa a vista d’occhio,
mentre ci avviciniamo a Plaça Universitat, in pieno centro. Qui è
previsto, alle 12, il concentramento dei sindacati di base e
conflittuali (a partire dal più grande di questi, l’anarco-sindacalista
CGT). La piazza dell’Università non è grande quanto Plaça de Catalunya
(che è a 500 m). È la tipica piazza usata per le concentrazioni
studentesche e dell’estrema sinistra. Ci staranno al massimo 10 mila
persone, forse qualcuna di più. Ma in questo caso la CGT, IAC, Co.Bas,
CSC, COS, ecc. si sono dimostrati pessimisti. Non si riesce ad entrare.
Tutte le vie che portano in piazza sono piene e congestionate.
Sicuramente molte decine di migliaia di persone. Anche qui i giovani e
giovanissimi sono la grande maggioranza (che differenza con l’Italia, mi
viene da pensare!). Anche qui le bandiere catalane sono ovunque. Ma,
diversamente da domenica, mescolate con molte bandiere rosse e
rossonere, e in parte anche col tricolore repubblicano. Gli slogan
continuano ad essere quelli contro la repressione, contro Rajoy e il
franchismo, per la Repubblica, per l’indipendenza. Trovo con fatica lo
spezzone della CGT, dopo essermi mosso a passo di formica in mezzo alla
calca. Non è nemmeno riuscito ad arrivare in piazza, vista la densità di
esseri umani per metro quadrato. Fermo in carrer Pelayo (che collega le
Ramblas con piazza Università, con circa 1000, 1500 compagni, molti
vestiti di nero, con le bandiere rossonere, che lanciano slogan
anticapitalisti e per i diritti dei lavoratori. In realtà mi sto
rendendo conto che le forze organizzate, che siano sindacati, partiti,
gruppi e gruppuscoli, in questa mobilitazione sono molto minoritarie
(come in tutti i momenti di esplosione dei movimenti di massa, verrebbe
da dire). Il 90% della gente che oggi è in piazza lo è a titolo
individuale (come dimostra la miriade di cartelli autoprodotti, quasi
tutti su un pezzo di cartone scritto a pennarello) o al massimo come
gruppi di amici, compagni di classe o di luogo di lavoro. Parlando con
Josep Bel, un compagno storico ex PSUC, fondatore delle Co-Bas
(commissioni di Base, ex Comisiones Obreras) della Telefonica (sentite,
se volete, l’intervista alla radio) scopro che, dopo il tira e molla
degli ultimi giorni, i sindacati maggioritari (la UGT “socialista” e
CC.OO “comuniste”) hanno in parte “desconvocado” lo sciopero, come alla
SEAT (anche se parte dei loro iscritti ha scioperato comunque) e deciso
di spostare la manifestazione delle 18 dalla zona del Paseo de Gracia
(dove è confermata la manifestazione dei settori più “radicali”, come i
sindacati conflittuali, la CUP, Anticapitalistes, ecc.) a Plaça
Universitat (per prendere le distanze dagli indipendentisti e
dall’estrema sinistra politica e sindacale). Inoltre Josep mi conferma
che la Generalitat e il Comune di Barcellona hanno autorizzato il
personale a partecipare allo sciopero senza trattenuta sullo stipendio. E
così pare abbia deciso anche l’organizzazione padronale delle piccole e
medie imprese, mentre la “confindustria” catalana si è schierata da
tempo con i “centralisti” di Madrid (bastava guardare le dichiarazioni
del portavoce degli industriali catalani Josep Bou ieri mattina alla TV
spagnola). È quella che qui chiamano “aturada” (che si potrebbe tradurre
con “fermata”, più che con “serrata”). Una specie di “fermata del
paese”, interclassista e “al servizio della patria catalana”, contro la
repressione certo, ma anche contro ogni irruzione del conflitto di
classe in questa enorme e combattiva mobilitazione della società catalana.
Verso le 14,30 il concentramento
comincia a sciogliersi. Ma in realtà non si tratta di smobilitare. In
attesa delle manifestazioni delle 18 la città viene “occupata”, senza un
piano preciso, da migliaia di gruppi e gruppetti di manifestanti che,
seduti per terra o nei pochi bar rimasti aperti, o camminando per le
strade, agitano bandiere, cantano, lanciano slogan. Qualche migliaio, su
indicazione della CUP (la sinistra “indipendentista e anticapitalista”,
come la definiscono i media), circonda il Parlament, nella zona della
Ciutadela, per chiedere l’immediata proclamazione dell’indipendenza
(cosa che il presidente Puigdemont si rifiuta di fare). Più che una
pausa nella mobilitazione, insomma, sembra un “diffondersi sul
territorio”. Quando, alle 17,30, esco dalla casa di amici, dove ho
riposato un paio d’ore, per andare al concentramento ai Jardinets de
Gracia, in fondo al Paseo omonimo, la zona di Plaça Universitat è già
piena di manifestanti. E pure Plaça de Catalunya, verso il Paseo de
Gracia, che si vede già pieno di gruppi, striscioni, bandiere che si
dirigono verso la parte alta del Paseo. A 500 m dai Jardinets già non si
può proseguire. Trovo lo striscione dei compagni di Anticapitalistes,
la sezione catalana della Quarta Internazionale, con un pugno di
bandiere rosse e viola (il colore del femminismo, molto sentito dalle
nostre compagne e compagni catalane/i) e mi fermo con loro. Ne
approfitto per intervistare il compagno Andreu, a cui la Policia
Nacional ha rotto il naso domenica (sempre possibile sentire
l’intervista alla radio). Quando il corteo finalmente inizia a muoversi
verso Plaça de Catalunya si forma il nostro piccolo “bloque” (un paio di
centinaia di persone). Dietro di noi, e a lato, ci sono centinaia di
ragazze e ragazzi apparentemente non organizzati, con bandiere catalane,
che lanciano gli slogan tipici di questi giorni (in primis “Visca
Catalunya antifeixista”, “Fuori le truppe d’occupazione” e
“Independencia”). Quando noi lanciamo il nostro
“A-Anti-Anticapitalistas” con sorpresa sentiamo che lo riprendono
subito, in massa. E lo faranno per tutto il corteo, fino a Plaça de
Catalunya. Quando ci arriviamo sono ormai quasi le 21. Nonostante ciò,
alcune migliaia di “irriducibili” (e qui la biologia diventa
fondamentale, vista l’età) decide di scendere fino a via Laietana per
continuare la protesta davanti alla sede centrale della Policia
Nacional.
Che dire, complessivamente, di una
giornata così? Diversamente dalla manifestazione di domenica sera in
Plaça de Catalunya, gestita soprattutto dall’alto, dalle forze
istituzionali legate al Govern (o che lo appoggiano criticamente, come
la CUP), qui il protagonismo “dal basso” è stato preponderante (non ci
sono stati nemmeno i classici comizi finali). Sindacati (classisti o
concertativi), partiti, partitini, gruppi, Comitati di Difesa R. (fino a
domenica questa R stava per “Referendum”, oggi qualcuno la usa per
“Revolució”) e di quartiere, strutture improvvisate di scuola o luogo di
lavoro, ma soprattutto centinaia di migliaia di individui non
organizzati, in larghissima percentuale giovani e giovanissimi, hanno
dato il tono all’intera giornata, in un clima che, mi verrebbe da dire,
sembrava quasi pre-rivoluzionario. Le parole d’ordine, i cartelli, gli
striscioni, le bandiere hanno indubbiamente nella lotta contro la
repressione il loro fulcro, seguito da vicino dall’indipendentismo. Le
forze anticapitaliste (che esistono ed hanno una discreta forza in
Catalogna, sia a livello politico che sindacale) riusciranno ad
influenzare il processo iniziato? O, come nell’ottobre del 1934 (e
quante altre volte nella Storia?) lasceranno che le forze borghesi e
piccolo-borghesi (PdCat ed ERC) guidino questo enorme movimento in un
vicolo cieco?